Inizio questo secondo post sulle sfumature di significato recuperando la tesi proposta da Evans in alcuni suoi articoli (ad esempio nell’articolo del 2006, Lexical Concepts, Cognitive Models and Meaning-Construction) che già avevo citato nel post precedente: il significato di una parola non è qualcosa che è fissato una volta per tutte, non è qualcosa di stabile e di stabilito; al contrario il significato di una parola è selezionato di volta in volta tra le informazioni di enciclopedia, a seconda del contesto in cui la parola è inserita.
L’idea è quindi che associati a ogni parola vi siano non un significato unico, bensì una gamma di significati (a range of meanings) tra i quali viene di volta in volta selezionata un’interpretazione appropriata, a fronte di quello che è il contesto (linguistico e non-linguistico).
Non è quindi l’enunciato che trae il suo significato dalla composizione dei significati delle parole che lo compongono, ma – al contrario – sono i significati delle parole che vengono determinati a seconda dell’enunciato in cui si trovano. Infatti il loro significato è stabilito in base alle parole con cui si uniscono, ossia al contesto linguistico:
meaning-construction appears to proceed by virtue of the ‘meaning’ associated with a given word being ‘calculated’ once the meaning of the entire utterance has been established. That is, individual word ‘meaning’ is determined by utterance meaning rather the other way roung. From this perspective, meaning-construction involves first determining the meaning of the whole before the contribution of the parts can be established. (Evans 2006)
Noto poi con piacere che Evans cita a sostegno della sua tesi un altro autore da me molto apprezzato e che in passato ho studiato con grande interesse: James Pustejovsky. Pustejovsky ha scritto nel 1995 un libro molto bello, pubblicato presso MIT Press, con il titolo The Generative Lexicon.
In questo libro Pustejovsky esponeva molti esempi di comportamento polisemico delle parole (creative use of words in context): ossia, casi di parole che poste in diversi contesti linguistici possono assumere differenti sfumature di significato.
Questo è il caso, ad esempio, della parola ‘finire’, la quale assume differenti significati a seconda di ciò che la segue. Se proferisco l’enunciato “Chiara ha finito il libro” e in seguito l’enunciato “Chiara ha finito la birra”, la parola ‘finito’ assume due diverse sfumature semantiche: nel primo caso ciò che comprendiamo è che Chiara ha finito di leggere il libro, mentre nel secondo caso che ha finito di bere la birra.
Molti altri sono gli esempi che fa Pustejovsky e alcuni di questi li recupera lo stesso Evans, a confermare la sua tesi sulla non-determinatezza del significato lessicale. Pensiamo, ad esempio, all’espressione “un libro voluminoso” o all’espressione “un libro divertente”: nel primo caso la parola ‘libro’ sta a indicare un aspetto materiale, mentre nel secondo caso si focalizza su un aspetto astratto (ossia sul contenuto che è scritto).
In conclusione, a mo’ di bibliografia, indico il libro che ho citato e rimando anche al testo della presentazione che avevo tenuto al XVII Congresso della Società di Filosofia del Linguaggio nel 2010, in cui presentavo una rivisitazione della teoria di Pustejovsky come mezzo di spiegazione del fenomeno del Meaning Transfer (scarica qui il pdf).
– Pustejovsky J., The Generative Lexicon, MIT Press, Cambridge (MA) (link su Amazon).
Trovo che analizzare il significato delle parole sia un’idea brillante; diamo tutti così per scontato il “meaning” di qualcosa, chiudendoci in una stretta gabbia di convinzioni.
E chi più dei filosofi, ha preso le parole, dando loro un significato completamente diverso da quello comune? Come il “trascendentale” kantiano, ma è solo un esempio.
Distinguere un significato “da dizionario” e “da enciclopedia” è così riduttivo, da far morire la bellezza stessa delle parole, che hanno ben più di cinquanta sfumature, che sia per il tono con cui le pronunciamo, che sia nel contesto in cui le utilizziamo.
E poi, citando quel William che tutti conosciamo: “What’s in a name? that which we call a rose by any other name would smell as sweet”.