Una questione molto dibattuta nella linguistica contemporanea è quella dell’innatismo.
Quando nasciamo siamo come delle tabule rase – dovendo quindi apprendere tutto quello che concerne il linguaggio tramite l’esperienza esterna (ad esempio dai nostri genitori, dagli insegnanti) – oppure vi è già qualcosa nella nostra mente che ci permette di apprendere il linguaggio e che in qualche modo gli dà forma? Insomma, un bambino impara una lingua esclusivamente sentendola parlare dagli adulti, oppure possiede (oltre a questa esposizione all’esperienza) anche una base già presente e quindi innata, grazie alla quale la conoscenza della lingua prende forma?
Il principale sostenitore dell’innatismo è Noam Chomsky, il padre della linguistica contemporanea. La sua idea, infatti, è che vi siano dei principi comuni a tutte le lingue parlate dagli esseri umani, presenti sin dalla nascita in ognuno di noi, grazie ai quali è reso possibile l’apprendimento di una qualsiasi lingua.
Le ragioni teoriche che hanno portato a sostenere tale tesi sono molteplici. Quello di cui vi voglio parlare ora però è un caso concreto, che sembra portare acqua al mulino dei sostenitori dell’innatismo. Si tratta del fenomeno della creolizzazione.
Durante i periodi di espansione coloniale delle potenze europee, i commercianti si trovarono di fronte alla necessità di comunicare con gli abitanti nativi dei territori colonizzati. Ciò che ne emerse fu l’affermarsi di una proto-lingua molto semplificata e priva di grammatica, che consentiva le principali trattative, permettendo la comunicazione con la gente del posto. Si trattava dei cosiddetti linguaggi pidgin.
Un esempio è quello del pidgin delle Hawaii, dove per dire la frase “l’uomo è buono” si usava la forma pidgin “good, da man”, simile all’inglese “the man is good”, ma priva di articoli e tempi verbali.
Ciò che è interessante per i sostenitori dell’innatismo è quanto avvenne quando i figli dei nativi cominciarono ad apprendere il pidgin come loro prima lingua, nativizzandolo. Ciò che si osservò fu una spontanea complicazione della lingua: i bambini (esposti a una proto-lingua, priva di grammatica) finivano per parlare una lingua vera e propria, dotata di grammatica, definita lingua creola. Da dove avevano imparato come aggiungere aspetti grammaticali, come tempi verbali e articoli? Di certo non da input esterni, poiché gli adulti parlavano il solo pidgin.
La conclusione è che nel cervello dei bambini siano già presenti delle regole, dei principi innati, che regolano l’apprendimento del linguaggio, e che quando sono esposti a forme semplificate come il pidgin, agiscono complicandolo e dando vita ad una lingua vera e propria.
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