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Archive for marzo 2011

In un post precedente vi avevo parlato di come dovrebbe essere strutturata la mente di noi uomini. Ciò che permette di porre in relazione il linguaggio con le esperienze che facciamo è appunto il livello dei concetti. E’ grazie a questi che possiamo ragionare, fare progetti, comprendere parole e frasi, ecc.

E per quanto riguarda gli animali?

Un’ipotesi oggi accreditata è quella per cui anche gli animali possiederebbero come noi un livello mentale dei concetti, grazie al quale sono in grado di svolgere compiti cognitivi più o meno complessi. Differente è invece la situazione per quanto riguarda il linguaggio.

Ma rimaniamo sul livello concettuale. Vi è mai capitato di sentire qualcuno sostenere che un animale non è dotato di ragione, che non può fare progetti, né prevedere gli effetti delle sue azioni, ma che segue esclusivamente il proprio istinto?

Vi invito a guardare questo video. Vi compare un uccello che “pesca”. Pesca nel senso che è in grado di utilizzare un mezzo (del pane) per ottenere uno scopo. Non è una forma di riflessione questa?

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Com’è nato il linguaggio? Evolutivamente intendo. Com’è emersa questa facoltà tipicamente umana di comunicare tramite produzione vocale di suoni? Ma, soprattutto, che forma avevano le prime comunicazioni tra i nostri antenati?

L’idea di Corballis è che il linguaggio si sia evoluto non dai richiami vocali dei primati, bensì dai loro gesti manuali e facciali.

Circa 170.000 anni fa quindi i primi Homo sapiens svilupparono un linguaggio basato essenzialmente sui gesti, simile al linguaggio dei segni impiegato al giorno d’oggi dai non udenti.

I linguaggi dei segni attuali sarebbero allora forme comunicative più vicine alle origini del linguaggio di quanto non lo siano versi, suoni e lo stesso linguaggio verbale.

Per dirla con un motto: il linguaggio umano si è evoluto dai gesti delle mani e del viso dei primati nostri antenati, piuttosto che da loro vocalizzazioni.


Corballis M., Dalla mano alla bocca, Cortina, 2008.

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Una questione molto dibattuta nella linguistica contemporanea è quella dell’innatismo.

Quando nasciamo siamo come delle tabule rase – dovendo quindi apprendere tutto quello che concerne il linguaggio tramite l’esperienza esterna (ad esempio dai nostri genitori, dagli insegnanti) – oppure vi è già qualcosa nella nostra mente che ci permette di apprendere il linguaggio e che in qualche modo gli dà forma? Insomma, un bambino impara una lingua esclusivamente sentendola parlare dagli adulti, oppure possiede (oltre a questa esposizione all’esperienza) anche una base già presente e quindi innata, grazie alla quale la conoscenza della lingua prende forma?

Il principale sostenitore dell’innatismo è Noam Chomsky, il padre della linguistica contemporanea. La sua idea, infatti, è che vi siano dei principi comuni a tutte le lingue parlate dagli esseri umani, presenti sin dalla nascita in ognuno di noi, grazie ai quali è reso possibile l’apprendimento di una qualsiasi lingua.

Le ragioni teoriche che hanno portato a sostenere tale tesi sono molteplici. Quello di cui vi voglio parlare ora però è un caso concreto, che sembra portare acqua al mulino dei sostenitori dell’innatismo. Si tratta del fenomeno della creolizzazione.

Durante i periodi di espansione coloniale delle potenze europee, i commercianti si trovarono di fronte alla necessità di comunicare con gli abitanti nativi dei territori colonizzati. Ciò che ne emerse fu l’affermarsi di una proto-lingua molto semplificata e priva di grammatica, che consentiva le principali trattative, permettendo la comunicazione con la gente del posto. Si trattava dei cosiddetti linguaggi pidgin.

Un esempio è quello del pidgin delle Hawaii, dove per dire la frase “l’uomo è buono” si usava la forma pidgin “good, da man”, simile all’inglese “the man is good”, ma priva di articoli e tempi verbali.

Ciò che è interessante per i sostenitori dell’innatismo è quanto avvenne quando i figli dei nativi cominciarono ad apprendere il pidgin come loro prima lingua, nativizzandolo. Ciò che si osservò fu una spontanea complicazione della lingua: i bambini (esposti a una proto-lingua, priva di grammatica) finivano per parlare una lingua vera e propria, dotata di grammatica, definita lingua creola. Da dove avevano imparato come aggiungere aspetti grammaticali, come tempi verbali e articoli? Di certo non da input esterni, poiché gli adulti parlavano il solo pidgin.

La conclusione è che nel cervello dei bambini siano già presenti delle regole, dei principi innati, che regolano l’apprendimento del linguaggio, e che quando sono esposti a forme semplificate come il pidgin, agiscono complicandolo e dando vita ad una lingua vera e propria.

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Dal 1 al 6 settembre 2011 si terrà presso l’università San Raffaele di Milano il  settimo convegno europeo di filosofia analitica (ECAP), organizzato dalla Società Europea di Filosofia Analitica.

Vi sarà una sezione intera dedicata alla Filosofia del Linguaggio.

Per ulteriori informazioni si veda il sito della conferenza.

Plenary speakers
Andrea Bonomi (University of Milan and San Raffaele University)
Tim Crane (University of Cambridge)
Agnieszka Jaworska (UC Riverside, University of California)
Kevin Mulligan (University of Geneva) – Dialectica Lecture
Dan Sperber (Jean Nicod Institute, Paris & International Cognition and Cultural Institute) – Fondazione Giannino Bassetti Lecture
Invited speakers
History of Philosophy: Katerina Ierodiakonu (National and Kopodistrian University of Athens)
Epistemology and Philosophy of Science: Marcus Willaschek (Goethe University, Frankfurt)
Logic: Pavel Materna (Masaryk University, Brno)
Philosophy of Language: Peter Pagin (Stockholm University)
Philosophy of Mind and Action Theory: Pepa (Josefa) Toribio (ICREA, Barcelona)
Metaphysics: Max Kistler (Sorbonne University)
Ethics: Folke Tersman (Uppsala University)
Aesthetics: Alberto Voltolini (Turin University)
Political Philosophy and Philosophy of Law: Sune Lægaard (Roskilde University)
Philosophy of Religion: Howard Robinson (Central European University)

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La recensione del libro di Arduini mi ha permesso di parlare del ruolo dei concetti all’interno della struttura della mente. Ciò che sembra emergere dalle teorie linguistiche di stampo cognitivo è che i concetti occupano una posizione intermedia, che consente da un lato la comprensione del linguaggio e, dall’altro lato, la comprensione del mondo. Vorrei dire ancora due parole su questo e lo vorrei fare considerando la posizione di un autore che Arduini non considera nel suo libro, ossia Ray Jackendoff.

Jackendoff è docente di linguistica presso la Tufts University di Boston nel Massachusets, è stato allievo di Chomsky in persona, ma negli ultimi decenni si è allontanato dalla teoria chomskiana per dedicarsi a studi in cui il livello semantico fosse tenuto in maggiore considerazione.

Jackendoff propone una teoria sulla semantica che chiama Semantica Concettuale (e già dal nome potete immaginare il ruolo centrale che viene affidato ai concetti nella spiegazione del significato linguistico).

I concetti servono innanzitutto per distinguere le nostre esperienze, dividendole in categorie: ad esempio, se vedo qualcosa che corre in giardino, posso riconoscere che quel qualcosa è un cane grazie al fatto che nella mia mente è presente il concetto CANE. Gli input che mi vengono dalla percezione vengono, infatti, trasmessi a un piano concettuale, dove avviene il riconoscimento di ciò che si sta percependo. In questo senso, i concetti ci permettono quindi di riconoscere gli oggetti del mondo.

Al tempo stesso però se qualcuno mi dice “un cane corre nel tuo giardino”, io riesco a comprendere ciò che mi è stato detto grazie al fatto che nella mia mente sono presenti concetti come quello di CANE. Infatti, la parola ‘cane’ viene elaborata linguisticamente e viene associata al concetto CANE, il quale permette la comprensione dell’enunciato.

Ecco che allora, secondo Jackendoff, i concetti (e quindi quello che lui definisce la Struttura Concettuale, ovvero il livello mentale in cui sono registrati e contenuti tutti i concetti) si trovano a svolgere un doppio ruolo, collegandosi da una parte alla percezione – e permettendo così la comprensione del mondo – e dall’altra parte alla facoltà di linguaggio – permettendo la comprensione del linguaggio naturale.

Questo è uno schema di come allora la nostra mente può essere strutturata secondo Jackendoff:


Come potete vedere, il livello della cognizione (la Struttura Concettuale, dove sono presenti i concetti) sta a metà tra il linguaggio e la percezione.


Un buon libro che vi consiglierei di Jackendoff è Foundations of Language, pubblicato nel 2002 dalla Oxford University Press.

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